Il calcio italiano perde una delle sue voci più amate e riconoscibili. Bruno Pizzul, storico telecronista e simbolo del giornalismo sportivo nazionale, si è spento all’età di 87 anni presso l’ospedale di Gorizia. Con lui se ne va non solo un maestro della narrazione calcistica, ma anche un pezzo di storia che ha accompagnato intere generazioni nelle notti più emozionanti della Nazionale italiana.
Dagli esordi come giocatore fino alla consacrazione in Rai, la carriera di Pizzul è stata caratterizzata da passione, competenza e una voce inconfondibile, capace di rendere iconici alcuni dei momenti più importanti del calcio italiano.
Bruno Pizzul: la voce dell’Italia
Nato a Udine l’8 marzo 1938, Pizzul ha iniziato la sua carriera nel calcio giocato prima di trovare la sua vera vocazione dietro al microfono. Dopo aver militato in diverse squadre tra cui Catania, Udinese e Torres, nel 1969 entrò in Rai attraverso un concorso pubblico, dando inizio a una carriera che lo avrebbe reso una delle figure più amate del panorama sportivo italiano.
La sua prima telecronaca ufficiale fu Juventus-Bologna, spareggio di Coppa Italia del 1970. Da lì, la sua ascesa fu inarrestabile: cinque Mondiali e quattro Campionati Europei raccontati con il suo stile unico, sobrio ma coinvolgente, preciso ma mai eccessivo.
A partire dalla Coppa del Mondo del 1986, Pizzul divenne la voce ufficiale della Nazionale italiana, raccontando le imprese degli Azzurri fino al 2002, anno in cui decise di ritirarsi dalle telecronache, pur continuando a comparire in trasmissioni come Domenica Sprint e La Domenica Sportiva.
Le notti magiche e il dramma dell’Heysel
Pizzul è stato il narratore di alcuni dei momenti più emozionanti della storia del calcio italiano. Tra questi, resta indelebile il suo grido:
“… e segna, segna Roberto. Roberto Baggiooooo al 42′ del secondo tempo!”
Era il Mondiale di USA ‘94, la semifinale contro la Bulgaria, quando il fuoriclasse italiano portò gli Azzurri in finale con una doppietta. Ma Pizzul è stato anche la voce delle “Notti Magiche” di Italia ’90, torneo che ha visto la Nazionale fermarsi in semifinale tra la commozione e l’entusiasmo di un intero Paese.
Tuttavia, la sua carriera è stata segnata anche da momenti di grande dolore. Il 29 maggio 1985, Pizzul era al microfono per raccontare la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles. Quel giorno, la partita passò in secondo piano di fronte a una delle tragedie più terribili della storia del calcio: 39 tifosi persero la vita, schiacciati dalla folla a causa del crollo di un settore dello stadio. La sua telecronaca, carica di compostezza e rispetto, rimane una delle più difficili e toccanti della sua carriera.
Dai campi di provincia alla carriera in Rai
Prima di diventare giornalista, Pizzul sognava una carriera da calciatore. Non era considerato un talento straordinario, ma grazie alla sua altezza e visione di gioco riuscì a ritagliarsi uno spazio nel calcio professionistico.
Il suo percorso sportivo iniziò con la Cormonese, prima di passare alla Pro Gorizia. Successivamente, nel 1958, venne acquistato dal Catania, squadra con cui militò per alcune stagioni. Dopo esperienze con Ischia, Udinese e Sassari Torres, comprese che il microfono era il suo vero strumento di gioco, trovando nella narrazione calcistica il modo migliore per trasmettere emozioni.
Questa decisione lo portò a diventare una delle voci più iconiche della storia del calcio italiano, al pari di giganti del settore come Nando Martellini e Sandro Ciotti.
Uno stile unico e irripetibile
Se il calcio italiano ha avuto il privilegio di essere raccontato da diversi cronisti straordinari, Pizzul si è distinto per il suo stile inconfondibile. La sua voce pacata ma intensa, il suo approccio misurato ma mai distaccato, la sua capacità di accompagnare l’evento senza sovrastarlo lo hanno reso una figura amatissima dai tifosi.
A differenza di molti telecronisti moderni, che spesso esaltano le giocate con toni eccessivi, Pizzul era un maestro dell’equilibrio: emozione e professionalità si intrecciavano perfettamente nelle sue telecronache, rendendole uniche.
Conclusioni
Con la morte di Bruno Pizzul, il calcio italiano perde una delle sue voci più rappresentative, un uomo che ha raccontato il gioco con eleganza, passione e rispetto. La sua eredità rimarrà impressa nelle memorie di chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo, nelle telecronache che hanno segnato momenti di gioia e tragedia, e nella sua capacità di far vivere il calcio non solo come un gioco, ma come una parte integrante della cultura italiana.
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